Wednesday, December 30, 2009

Christus Regnat - an Irish Journal



'Christus Regnat' is the journal of St. Conleth's Catholic Heritage Association (Ireland). It features articles on Catholic heritage, biographies, history, music, spirituality and liturgy in Ireland. December 2009 issue is now available.


http://catholicheritage.blogspot.com/2009/12/christvs-regnat-december-2009.html

Friday, December 25, 2009

Omelia del Papa nella Notte di Natale 2009


Cari fratelli e sorelle,"Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio" (Is 9, 5). Ciò che Isaia, guardando da lontano verso il futuro, dice a Israele come consolazione nelle sue angustie ed oscurità, l’Angelo, dal quale emana una nube di luce, lo annuncia ai pastori come presente: "Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore" (Lc 2, 11). Il Signore è presente. Da questo momento, Dio è veramente un "Dio con noi". Non è più il Dio distante, che, attraverso la creazione e mediante la coscienza, si può in qualche modo intuire da lontano. Egli è entrato nel mondo. È il Vicino. Il Cristo risorto lo ha detto ai suoi, a noi: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 20). Per voi è nato il Salvatore: ciò che l’Angelo annunciò ai pastori, Dio ora lo richiama a noi per mezzo del Vangelo e dei suoi messaggeri. È questa una notizia che non può lasciarci indifferenti. Se è vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me. Allora, come i pastori, devo dire anch’io: Orsù, voglio andare a Betlemme e vedere la Parola che lì è accaduta. Il Vangelo non ci racconta senza scopo la storia dei pastori. Essi ci mostrano come rispondere in modo giusto a quel messaggio che è rivolto anche a noi. Che cosa ci dicono allora questi primi testimoni dell’incarnazione di Dio?


Dei pastori è detto anzitutto che essi erano persone vigilanti e che il messaggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli. Noi dobbiamo svegliarci, perché il messaggio arrivi fino a noi. Dobbiamo diventare persone veramente vigilanti. Che significa questo? La differenza tra uno che sogna e uno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si trova in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondo del sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Svegliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nella realtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti. Il conflitto nel mondo, l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostri propri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolo mondo privato. L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, ci tiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la verità e ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. Venite fuori per entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio. Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silenziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza. Ci sono persone che dicono di essere "religiosamente prive di orecchio musicale". La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuni è rifiutata. E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalità del mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ridurre la sensibilità per Dio, a renderci "privi di orecchio musicale" per Lui. E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa di Dio, la capacità di incontrarlo. Per ottenere questa vigilanza, questo svegliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, per quelli che sembrano essere "privi di questo orecchio musicale" e nei quali, tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti. Il grande teologo Origene ha detto: se io avessi la grazia di vedere come ha visto Paolo, potrei adesso (durante la Liturgia) contemplare una grande schiera di Angeli (cfr in Lc 23, 9). Infatti – nella Sacra Liturgia, gli Angeli di Dio e i Santi ci circondano. Il Signore stesso è presente in mezzo a noi. Signore, apri gli occhi dei nostri cuori, affinché diventiamo vigilanti e veggenti e così possiamo portare la tua vicinanza anche ad altri!


Torniamo al Vangelo di Natale. Esso ci racconta che i pastori, dopo aver ascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: "'Andiamo fino a Betlemme' … Andarono, senza indugio" (Lc 2, 15s.). "Si affrettarono" dice letteralmente il testo greco. Ciò che era stato loro annunciato era così importante che dovevano andare immediatamente. In effetti, ciò che lì era stato detto loro andava totalmente al di là del consueto. Cambiava il mondo. È nato il Salvatore. L’atteso Figlio di Davide è venuto al mondo nella sua città. Che cosa poteva esserci di più importante? Certo, li spingeva anche la curiosità, ma soprattutto l’agitazione per la grande cosa che era stata comunicata proprio a loro, i piccoli e uomini apparentemente irrilevanti. Si affrettarono – senza indugio. Nella nostra vita ordinaria le cose non stanno così. La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse non ci incalzano in modo immediato. E così noi, nella stragrande maggioranza, siamo ben disposti a rimandarle. Prima di tutto si fa ciò che qui ed ora appare urgente. Nell’elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi all’ultimo posto. Questo – si pensa – si potrà fare sempre. Il Vangelo ci dice: Dio ha la massima priorità. Se qualcosa nella nostra vita merita fretta senza indugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio. Una massima della Regola di san Benedetto dice: "Non anteporre nulla all’opera di Dio (cioè all’ufficio divino)". La Liturgia è per i monaci la prima priorità. Tutto il resto viene dopo. Nel suo nucleo, però, questa frase vale per ogni uomo. Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, a partire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui viviamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane.


Alcuni commentatori fanno notare che per primi i pastori, le anime semplici, sono venuti da Gesù nella mangiatoia e hanno potuto incontrare il Redentore del mondo. I sapienti venuti dall’Oriente, i rappresentanti di coloro che hanno rango e nome, vennero molto più tardi. I commentatori aggiungono: questo è del tutto ovvio. I pastori, infatti, abitavano accanto. Essi non dovevano che "attraversare" (cfr Lc 2, 15) come si attraversa un breve spazio per andare dai vicini. I sapienti, invece, abitavano lontano. Essi dovevano percorrere una via lunga e difficile, per arrivare a Betlemme. E avevano bisogno di guida e di indicazione. Ebbene, anche oggi esistono anime semplici ed umili che abitano molto vicino al Signore. Essi sono, per così dire, i suoi vicini e possono facilmente andare da Lui. Ma la maggior parte di noi uomini moderni vive lontana da Gesù Cristo, da Colui che si è fatto uomo, dal Dio venuto in mezzo a noi. Viviamo in filosofie, in affari e occupazioni che ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia è molto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darci una mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensieri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui. Ma per tutti c’è una via. Per tutti il Signore dispone segnali adatti a ciascuno. Egli chiama tutti noi, perché anche noi si possa dire: Orsù, "attraversiamo", andiamo a Betlemme – verso quel Dio, che ci è venuto incontro. Sì, Dio si è incamminato verso di noi. Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostre forze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte più lunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo. Venite e vedete che io sono qui. Transeamus usque Bethleem, dice la Bibbia latina. Andiamo di là! Oltrepassiamo noi stessi! Facciamoci viandanti verso Dio in molteplici modi: nell’essere interiormente in cammino verso di Lui. E tuttavia anche in cammini molto concreti – nella Liturgia della Chiesa, nel servizio al prossimo, in cui Cristo mi attende.


Ascoltiamo ancora una volta direttamente il Vangelo. I pastori si dicono l’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: "Vediamo questo avvenimento". Letteralmente il testo greco dice: "Vediamo questa Parola, che lì è accaduta". Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guardata. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagine, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio si è reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dice Paolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suo vivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola di Dio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così. L’Angelo aveva detto ai pastori: "Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia" (Lc 2, 12; cfr 16). Il segno di Dio, il segno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio. Egli possiede il potere ed è la Bontà. Ci invita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo plasmare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l’umiltà e così la vera grandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità e dell’amore. Origene, seguendo una parola di Giovanni Battista, ha visto espressa l’essenza del paganesimo nel simbolo delle pietre: paganesimo è mancanza di sensibilità, significa un cuore di pietra, che è incapace di amare e di percepire l’amore di Dio. Origene dice dei pagani: "Privi di sentimento e di ragione, si trasformano in pietre e in legno" (in Lc 22, 9). Cristo, però, vuole darci un cuore di carne. Quando vediamo Lui, il Dio che è diventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascoltiamo ancora Origene: "In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)" (in Lc 22, 3).


Sì, per questo vogliamo pregare in questa Notte Santa. Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen.

Solidarity with Pope Benedict XVI

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The dramatic moment when Benedict XVI was knocked down by a woman.



Oremus pro pontifice nostro Benedicto. Dominus conservet eum et vivificet eum et beatum faciat eum in terra et non tradat eum in animam inimicorum eius.


Merry Christmas

Omnibus Lectoribus Internexus Pro Tridentina (Malta) Blog Beatam Nativitatem! Christi Iesus Pax Sit Vobis Semper!

I hope that, at least on Christmas, you will be able to attend a Traditional Latin Mass. If you have this blessing, be sure to offer a prayer there for the many traditional Catholics, including the undersigned, who have nothing at all. Godwin

Sunday, December 20, 2009

La Basilica di San Pietro e i messali tridentini. Un felice intervento del card. Arciprete






venerdì 18 dicembre 2009

La Basilica di San Pietro e i messali tridentini. Un felice intervento del card. Arciprete

Da quando il motu proprio di Sua Santità Benedetto XVI ha concesso, ai sacerdoti, massima libertà di celebrare le messe sine populo nella forma che meglio loro aggrada, ordinaria o straordinaria, numerosi sono stati i presbiteri che hanno cercato di solennizzare con il rito della Tradizione il loro passaggio in San Pietro. Ma un ostacolo pratico di non poco momento è stato frapposto a tale legittimo anelito: la Sacrestia di San Pietro non conservava nemmeno un Messale vetus ordo.


Strano, davvero. Non c'è pieve di campagna, parrocchietta di periferia, non parliamo di cattedrali, dove nei secoli non si siano accumulati, insieme a paramenti e suppellettili più o meno preziosi, i ponderosi volumoni indispensabili alla liturgia: spesso il Messale utilizzato era vecchio di decenni, o perfino secoli, ma non si buttava e si continuava all'occorrenza ad usare perché, fino agli anni Sessanta, bastava qualche minimo adattamento (o l'aggiunta di qualche foglio volante con nuove feste), per celebrare la Messa. I tomi si accumulavano e si conservavano col giusto devoto onore.


Figuriamoci quindi in San Pietro, ove non c'era sacerdote di passaggio che non anelasse celebrare in uno dei tanti altari laterali: quale ricchezza di tomi e messali, quale deposito di sacri libri liturgici doveva esserci! E invece, d'improvviso, tutto sparito. Chissà che ne è stato: ci vien da pensare che, ai tempi dell'immediato postconcilio, sia avvenuto un liberatorio Bücherverbrennung di sinistra memoria.


Tant'è, questa la situazione. Il reverendo don Stefano Carusi, dell'Istituto del Buon Pastore, ci trasmette per la pubblicazione la lettera che ha inviato al cardinal Arciprete, per lamentare il fatto e far presente come, dalle parole stesse raccolte in Sacrestia, apparisse chiaro che quell'assenza di Messali non era casuale (il che, come vedrete, è ben grave). Leggete la lettera molto attentamente: è di estremo interesse.





Alla lettera è seguita fattiva e positiva risposta. Siamo perciò lieti di render noto che il cardinal Comastri in persona, Arciprete della Basilica, si è impegnato per rendere disponibili quattro Messali del 1962. Diamo atto al cardinale di questo suo gesto molto positivo, col quale si impegna decisamente a favorire la forma straordinaria in San Pietro e, nel ringraziarlo per il gesto esemplare (se ogni cattedrale del mondo facesse altrettanto, i disegni del Papa procederebbero con ben maggiore speditezza!), invitiamo tutti i sacerdoti amanti del rito nella forma tradizionale ad approfittarne e a non lasciarsi sfuggire la preziosa occasione; tutti a San Pietro, quindi; ed è il caso di dirlo: Introibo ad altare Dei...

Sunday, December 6, 2009

Good Church Manners


From the bulletin of St. Vincent de Paul Church, Kansas City, Missouri:

1. Your first duty on entering a church is to remember the Real Presence of the Blessed Sacrament. Therefore, genuflect until the right knee touches the ground near your left heel. Then, in the pew, kneel and greet our Lord with a prayer.

2. Never talk unnecessarily in church. The church is Christ's audience chamber. Speak only to Him. Keep other conversations for the outside.

3. From the Sanctus to the priest's communion is the most solemn part of the Mass. Do try to kneel during ALL of it.

4. Do not sit back on the seat when those behind you are kneeling in prayer. They have no place to put their hands or prayer book but on your back.

5. An outburst of coughing immediately after the Consecration is surely not a fitting welcome for Our Lord.

6. When you are one of the last ones to receive Holy Communion at the altar rail, it shows a lack of consideration to compel the priest to go to the far end of the rail merely to suit you.

7. Don't COME LATE for Sunday Mass or LEAVE EARLY. If you do this habitually, you may be committing a sin. Leave the church only when the priest has left the sanctuary

8. You are wanting in charity when you say your prayers so loudly that you disturb your neighbors. Our Lord is not deaf and hears even a whispered prayer.

9. Women should have their heads covered when in church, but not with a covering which would be a distraction to others.

10. Do not cling stubbornly to the end of the pew. To do so may cause annoyance and inconvenience to others.

Saturday, December 5, 2009

Latin Mass Appeal

November 29, 2009

By KENNETH J. WOLFE
Washington

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Pope Benedict XVI
WALKING into church 40 years ago on this first Sunday of Advent, many Roman Catholics might have wondered where they were. The priest not only spoke English rather than Latin, but he faced the congregation instead of the tabernacle; laymen took on duties previously reserved for priests; folk music filled the air. The great changes of Vatican II had hit home.

All this was a radical break from the traditional Latin Mass, codified in the 16th century at the Council of Trent. For centuries, that Mass served as a structured sacrifice with directives, called “rubrics,” that were not optional. This is how it is done, said the book. As recently as 1947, Pope Pius XII had issued an encyclical on liturgy that scoffed at modernization; he said that the idea of changes to the traditional Latin Mass “pained” him “grievously.”

Paradoxically, however, it was Pius himself who was largely responsible for the momentous changes of 1969. It was he who appointed the chief architect of the new Mass, Annibale Bugnini, to the Vatican’s liturgical commission in 1948.

Bugnini was born in 1912 and ordained a Vincentian priest in 1936. Though Bugnini had barely a decade of parish work, Pius XII made him secretary to the Commission for Liturgical Reform. In the 1950s, Bugnini led a major revision of the liturgies of Holy Week. As a result, on Good Friday of 1955, congregations for the first time joined the priest in reciting the Pater Noster, and the priest faced the congregation for some of the liturgy.

The next pope, John XXIII, named Bugnini secretary to the Preparatory Commission for the Liturgy of Vatican II, in which position he worked with Catholic clergymen and, surprisingly, some Protestant ministers on liturgical reforms. In 1962 he wrote what would eventually become the Constitution on the Sacred Liturgy, the document that gave the form of the new Mass.

Many of Bugnini’s reforms were aimed at appeasing non-Catholics, and changes emulating Protestant services were made, including placing altars to face the people instead of a sacrifice toward the liturgical east. As he put it, “We must strip from our ... Catholic liturgy everything which can be the shadow of a stumbling block for our separated brethren, that is, for the Protestants.” (Paradoxically, the Anglicans who will join the Catholic Church as a result of the current pope’s outreach will use a liturgy that often features the priest facing in the same direction as the congregation.)

How was Bugnini able to make such sweeping changes? In part because none of the popes he served were liturgists. Bugnini changed so many things that John’s successor, Paul VI, sometimes did not know the latest directives. The pope once questioned the vestments set out for him by his staff, saying they were the wrong color, only to be told he had eliminated the week-long celebration of Pentecost and could not wear the corresponding red garments for Mass. The pope’s master of ceremonies then witnessed Paul VI break down in tears.

Bugnini fell from grace in the 1970s. Rumors spread in the Italian press that he was a Freemason, which if true would have merited excommunication. The Vatican never denied the claims, and in 1976 Bugnini, by then an archbishop, was exiled to a ceremonial post in Iran. He died, largely forgotten, in 1982.

But his legacy lived on. Pope John Paul II continued the liberalizations of Mass, allowing females to serve in place of altar boys and to permit unordained men and women to distribute communion in the hands of standing recipients. Even conservative organizations like Opus Dei adopted the liberal liturgical reforms.

But Bugnini may have finally met his match in Benedict XVI, a noted liturgist himself who is no fan of the past 40 years of change. Chanting Latin, wearing antique vestments and distributing communion only on the tongues (rather than into the hands) of kneeling Catholics, Benedict has slowly reversed the innovations of his predecessors. And the Latin Mass is back, at least on a limited basis, in places like Arlington, Va., where one in five parishes offer the old liturgy.

Benedict understands that his younger priests and seminarians — most born after Vatican II — are helping lead a counterrevolution. They value the beauty of the solemn high Mass and its accompanying chant, incense and ceremony. Priests in cassocks and sisters in habits are again common; traditionalist societies like the Institute of Christ the King are expanding.

At the beginning of this decade, Benedict (then Cardinal Joseph Ratzinger) wrote: “The turning of the priest toward the people has turned the community into a self-enclosed circle. In its outward form, it no longer opens out on what lies ahead and above, but is closed in on itself.” He was right: 40 years of the new Mass have brought chaos and banality into the most visible and outward sign of the church. Benedict XVI wants a return to order and meaning. So, it seems, does the next generation of Catholics.

Kenneth J. Wolfe writes frequently for traditionalist Roman Catholic publications.